Pochissime parole dei vangeli ci dicono qualcosa su di Lei.
S. Paolo si sforza di dire di Gesù che è "nato da donna" (Gal 4,4).
La sua presenza sembra marginale nell'annuncio del kerygma, che gli evangelisti
urlano alle loro comunità. Eppure sin da subito la comunità credente vede in
Lei qualcosa di particolare. Si, Lei è la madre del bambino adagiato nella
mangiatoia, del bimbo che sapientemente risponde ai sapienti del tempio, è la
madre del pazzo che va contro la Legge e l'autorità costituita, la madre del
bestemmiatore, dell'appeso alla croce. È la madre del risorto, è la madre del
Cristo, è la madre di Dio (così la chiesa nel concilio di Efeso proclama
Maria). Da allora molti Padri della chiesa hanno scritto di Lei, hanno
riflettuto su di Lei, hanno pregato per Lei, con Lei e attraverso Lei. Ma cosa
scatta veramente nei cuori dei devoti, dei cristiani che a Lei si affidano,
perchè Maria sia così vicina a noi, sia così intima nelle vite delle mamme di
tutti i tempi, negli uomini che soffrono le vicissitudini quotidiane? Ciò che
la fa essere così intima all'uomo e alla donna è il suo essere stata sempre
pronta a rispondere. Lei risponde. E il suo modo di rispondere non è quello
della sapienza, ma quello del servizio.
Del servizio silenzioso. Pronto a mettere tutta se stessa. Questo è quello che Maria ha fatto.
Del servizio silenzioso. Pronto a mettere tutta se stessa. Questo è quello che Maria ha fatto.
«38Allora
Maria disse: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua
parola". E l'angelo si allontanò da lei.
39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la
regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 43A che cosa devo che la madre del mio Signore
venga da me?» (Lc 1, 38-40.43)
L'angelo aveva appena
finito di dire a Maria cosa doveva avvenire di Lei. Qualcosa di misterioso, ma
ancora di più, sconvolgente. La persona più normale avrebbe risposto
rifiutandosi di accettare le cose pazzesche che l'angelo ha annunciato. Lei
invece risponde in quel modo: "Ecco la serva del Signore".
Da un punto di vista
sociologico per la donna ebrea non andava
tanto bene al tempo di Gesù. Era una creatura, ma non all'altezza dell'uomo. Essendo
in una cultura patriarcale, l'uomo era padrone e signore della casa. Già questo
dice tanto. La donna non poteva partecipare alla vita politica che era anche
vita religiosa, non solo, ma nel tempio, la donna aveva un suo spazio distante
dall'atrio degli uomini, che era molto più vicino alla santa dimora, e che questo
spazio non poteva essere mai superato. Tanto era bassa la loro situazione
sociale, che non potevano nemmeno uscire di casa a volto scoperto (pena il
ripudio da parte del marito). Quindi anche la dimensione familiare non era
diversa da quella sociale. Il divorzio era permesso, e dipende le scuole di
pensiero sulla legge familiare, anche per semplici sciocchezze: per esempio non
sapere cucinare a dovere, o guardare un altro uomo, o non sapere fare le
faccende di casa. I figli maschi erano da loro educati sino ad una certa età,
poi la loro educazione era ad appannaggio del marito. Diversamente era per
l'educazione delle bambine, che sin da piccole erano portate ad agire come le
madri, al servizio continuato alla famiglia e al marito. Non avevano l'obbligo
di studiare la torah, la Legge, ma il dovere di rispettarne i contenuti. Questo
era anche per Maria. Anche se sappiamo, attraverso i vangeli apocrifi, che era
figlia di gente ambiente e ricordiamo che la stessa Scrittura ci dice che
Zaccaria ed Elisabetta sono suoi parenti. Maria era abituata a leggere la
Torah, conosceva la Scrittura e come la gente come lei, anche Lei aspettava
l'avvento del Messia. Ma questo non toglie l’essere una donna, una giovane
donna. Lei era già, per la sua età a servizio. Era "Serva".
Dal punto di vista
letterale il termine Serva/Servo nell’intera Sacra Scrittura viene riportato in
due modi diversi Doulos (masch.)/Doule (fem.) e Pais (masch.)/Paidiske (fem.)
Nei casi del maschile,
cioè Doulos e Pais entrambi i termini sono molto usati per esempio nell’AT. per
indicare tutto il popolo di Israele e ogni israelita nell’atto della preghiera
del salmo, anche per Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Giosuè, Sansone, Samuele,
Saul, Davide, i profeti etc. Nel N.T. indicano: Simeone, Pietro, Paolo, Sila,
Timoteo, Epafra, Giacomo, e soprattutto Davide e Gesù e di conseguenza i
cristiani in genere e gli evangelizzatori. Al femminile, Doule e Paidiske sono
molto meno usati: Doule nell’A.T. è usato solo 5 volte (3 volte nella preghiera
di Anna, mamma di Samuele e 2 volte nel Libro di Ester) e nel N.T. 2 volte nel
nostro brano e in At 2 per citare Gioele 3. Il termine Paidiske, invece,
nell’A.T. è quasi inesistente tranne per i casi indiretti in cui si fa
riferimento a tutte le mamme di Israele in contesto di preghiera. Mai viene
usato per il N.T. Tutto ciò per sottolineare il fatto che, il titolo hē doûlē Kyríou (la serva del Signore),
viene dato solo a Maria, madre di Gesù.
Ma cosa vuol dire servizio?
Alla parola servizio colleghiamo
diversi ambiti della nostra vita. Il più delle volte, quando parliamo di
"servizio" il nostro pensiero va subito all'ambito lavorativo. Sin
dai tempi antichi il rapporto tra gli uomini, che implicava uno scambio
economico, o un semplice contraccambio, è stato caratterizzato dall'azione
lavorativa dell'uno per usufruire del compenso dell'altro. Proprio questa
azione è connotata come servizio. Da qui i modi di dire: essere in servizio,
avere un servizio più o meno complesso, mettersi a servizio. Il termine
comunque connota, quasi sempre, una dimensione di asservimento (non
necessariamente sofferente), di necessaria sottomissione alla quale l'uomo deve
sottostare. Nel limite del legale, qualsiasi uomo che ha a che fare con il
lavoro, è assoggettato al servizio. Chi detta le regole del servizio, è
qualcosa che va al di là dello stesso volere del singolo. Possiamo dire, in
termini economici, che sia il mercato a dettare le regole per cui un datore di
lavoro, o un lavoratore autonomo si impongono un certo obiettivo, e di
conseguenza l'impiegato è necessitato a realizzare. Il fine è sempre quello di
raggiungere un certo utile. A questo "utile" è legato tutto il
sistema sociale. Questo è vero a maggior ragione in questi giorni. L'uomo, a
tutti i livelli del sistema economico, è usato come "strumento" per
la realizzazione di questo presunto benessere, di questo presunto "utile".
Un altro ambito collegato alla parola "servizio"
e che oggi giorno è sempre più usato, è quello sociale. Si è a servizio della
gente, si offre un servizio. L'ambito del servizio sociale può essere sia a
scopo economico, sia a scopo puramente volontaristico, ossia senza fini di
lucro. È il servizio che ha come base un ideale: ecologico, assistenziale,
informativo etc. Il fine può anche essere l'uomo, ma non necessariamente.
Come si nota, in questi due modi di intendere di ciò che
pensiamo noi del "servizio", l'essere Serva di Maria non vi rientra
affatto. Ma Lei si dice Serva. Serva non ad uomo, non per appagare il proprio
interesse, ma per conseguenza necessaria alla sua risposta ad un invito vitale.
La vita di Maria è servizio a Dio. È un servizio unico, sebbene non
particolare. Perchè non particolare? perchè Lei è stata mamma come tutte le
mamme del mondo. Unico, invece, perchè è stata madre del suo Dio. Lei è la
Madre, sotto questo punto di vista è madre per eccellenza.
Avvenga per me secondo la Tua
parola: Maria si mette a disposizione di ciò che l'angelo le ha
annunciato. Consapevole? sapeva a cosa andava incontro? È vero che Lei
conosceva e viveva la speranza dei giudei: il Messia. Ma cosa voleva dire
mettersi a suo servizio, questo no! Se il Messia era colui che, unto da Dio,
doveva cambiare l'ordine del mondo, attuando la volontà dell'onnipotente, cosa
voleva dire allora essere la sua Serva. Dal profeta Isaia conosciamo quale sia la
volontà di Dio:
«6Il lupo dimorerà
insieme con l'agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello
e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. 7La mucca e l'orsa pascoleranno insieme; i loro
piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. 8Il lattante si trastullerà sulla buca della
vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. 9Non agiranno più
iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza
del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.» (Is 11, 6-9)
...
non solo questo, ma il Messia sarà colui che...
«3Si compiacerà del timore del Signore. Non
giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; 4ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà
decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga
della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio.
5La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura
dei suoi fianchi.» (Is 11, 3-5)
Maria sa tutto questo. Allora cosa
dovrà fare? Essere come il suo Signore. Da qui si connota la natura dell'essere
Serva di Maria. Ciò che si prospetta a questa giovane donna è il farsi in tutto
e per tutto al suo Signore. Non può non essere così. Magari anche per
imitazione, ma in Lei non c'è questo, perchè in Lei sta nascendo questo Messia,
che prende forma umana in Lei, ma che, nello stesso tempo la plasma, la
trasforma, la informa, di ciò che sarà il suo futuro.
La parola dell'angelo è la parola di
Dio. L'angelo è messaggero della volontà di Dio di fare di Maria uno strumento
attraverso il quale si possa attuare il disegno divino. Qui Maria si mette
nella disposizione di animo di accettare la volontà di Jhwh. Se la Sua volontà
è quella di instaurare nel mondo corrotto dal peccato un mondo di giustizia,
nel quale il fondamento è l'amore, allora Maria deve attenersi a questo volere.
Deve mettere la sua vita in questo solco, già tracciato da Dio. Maria sa
benissimo che deve "fare", cioè il suo essere a servizio di Dio vuol
dire mettersi all'opera. La cosa importante in tutto questo, che non è certo
lasciata sola. Ha Dio con Lei. Dio è in Lei.
Maria conosceva il volere di Dio
attraverso le sacre Scritture, ma questo non basta. Proprio per il fatto che la
fede è un fatto di esperienza, di un incontro personale, Dio ci chiede di
convivere con il mistero quotidiano dei suoi disegni, che non vengono
comunicati solo per mezzo delle Scritture, ma anche attraverso eventi
quotidiani che indicano la strada da percorrere con continui cambiamenti di
rotta. Una caratteristica mette in risalto Maria rispetto le altre donne: la
sua umiltà. avendo preso coscienza di ciò che per accadergli, cioè la
particolare predilezione da parte di Dio, Lei non si montò la testa, ma si
mise, invece, in ascolto quando continuava a meditare tutte queste cose. È un
servizio svolto all'umiltà della persona, nel silenzio dove l'ascolto diviene
l'unico cibo dove poter prendere il sostentamento quotidiano. Questo certamente
non sarà mai cambiato in Lei. Se la sua condizione prima del parto era di
ascoltatrice in attesa, dopo il parto lo fu in modo attivo. La Parola era con
Lei.
In
quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa:
Maria non aspettò di certo a mettersi all'opera. Non vedeva l'ora di andare. Certo
aveva accettato le parole dell'angelo, ma nel suo cuore aveva ancora bisogno di
conferme, ma nello stesso tempo Lei adempie il volere divino: il servizio! Perché
questa fretta? Dal momento in cui ha detto si a quella grandiosa manifestazione
del disegno divino, Lei è entrata così profondamente nelle tinte di questo
stupefacente quadro salvifico da non poter più aspettare. Dietro questa forza
non c’è solo la volontà e l’entusiasmo di una giovane donna, ma
fondamentalmente c’è la presenza di Dio, che non lascia mai soli i suoi figli e
opera oltre le potenzialità dell’uomo. Così come lo stesso Luca ci dice, Egli
rende possibile l’impossibile. La vita di Maria viene stravolta. Adesso il suo
futuro è trasformato dalla presenza potente di Dio, il quale veicola dolcemente
i passi di coloro che accettano il grande dono della fede e a Lui docilmente si
affidano. Maria dal canto suo impara, giorno dopo giorno il modo di operare di
Dio e impara l’obbedienza a questo modo di agire di questo dolce Dio. Quindi
anche il suo mettersi in cammino è motivo di crescita nella consapevolezza di
essere operaria umile del Salvatore, di colui che si è chinato verso l’uomo
tanto da svuotarsi del suo essere e farsi umile anch’Egli. È la kenosi
dell’incarnazione, che in questa piccola donna si fa realtà. Maria e Gesù,
madre e Figlio, vivono questo parallelismo straordinario. La madre si fa serva
di Dio per portare a tutti il Figlio, il Figlio si fa servo sofferente del
Padre per l’uomo di tutti i tempi e di tutti i dove. Maria porta il verbo. Dunque
il suo Si a questo atto divino non resta solo un attimo che è ormai passato, ma
per tutta la sua vita influenzerà i suoi passi. Maria si mette in marcia con la
consapevolezza di aver detto Si al suo Dio, un Dio geloso, esigente. Infatti,
la vuole subito all’opera come umile ultima. La fretta è conseguenza di questo
suo nuovo stato di vita. Non ne può fare a meno. I tempi sono brevi, non si può
temporeggiare. È la risposta del fedele che, dopo il suo eccomi, deve
necessariamente agire come Dio vuole ponendosi nel solco di Dio, come Maria ha
fatto. La conversione del cuore in virtù del dono della fede non può essere un
episodio della vita dell’uomo, che dopo tanto tempo viene ricordato, come un
anniversario. No! Il Si a Dio esige il mettersi all’opera. Il cristiano è
l’uomo del fare, anche nella contemplazione dell’amore di Dio, l’uomo fa la
volontà del Padre. Tutto questo non basta, però. Maria va verso una regione
montuosa, dice la pericope, cioè sale. Questo vuol dire che il suo incedere non
è senza fatica, anzi. Vuol dire che la sua vita ha aperto un orizzonte in cui
la sofferenza prima e il dolore poi saranno presenti. Mettersi a servizio di
Dio, quindi non è certo uno scherzo. La fatica è certamente conseguenza del
mettersi a lavoro, ma dal lavoro ci si può allontanare. Dal si al Signore no! È
qualcosa che invade la tua vita profondamente. Lui ti tormenta l’anima a tal
punto che anche un monte alto non è qualcosa di impossibile. «Tu mi hai fatto
violenza e hai prevalso» (Ger 20). È la fatica del metterci di fronte a noi
stessi, del lottare contro i propri limiti per andare oltre e arrivare alla
vetta. È un rinnegare se stessi. Attenzione nulla è possibile di tutto questo
all’uomo se non si pone nelle mani di Dio. Il rinnegare se stessi è umanamente
impensabile. Cosa vuol dire rinnegare ciò che sono? Se sono fatto così posso
mai cambiare totalmente? Umanamente non è certo facile. Ma il Signore ci
accompagna in questa trasformazione attraverso l’azione potente e profonda
dello Spirito Santo. In Maria questo era avvenuto e lo stato a cui Lei era
giunta era permanente. Lo Spirito, come sappiamo l’aveva ricoperta dell’Amore
divino e adesso il germe di questo Amore dimorava in Lei. Per il credente
invece questo non è automatico. La presenza dello Spirito deve essere richiesta
incessantemente perché il nostro essere è ancora carnale.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta: Maria esce da casa sua e
va in un’altra casa. La casa è la metafora dell’accoglienza, dell’ospitalità,
dei valori forti che non crollano. La casa è anche metafora del proprio essere
interiore. «Entra nella tua camera,
chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che
vede nel segreto ti ricompenserà» (Mt 6, 6). È il luogo dei segreti più
profondi, dove ognuno si rifugia per ritrovare se stesso, ma anche dove ci si
nasconde da se stessi. È il luogo del raccoglimento, nel quale il cuore trova
si libera dalle difficoltà esterne, dal mondo per ritrovare il giusto riposo e,
per poi aprirsi nuovamente all’esterno. Maria ha ospitato nella sua casa
l’angelo e ha accolto la Parola. Adesso esce, va fuori dove questa poter
partecipare questa accoglienza. Lei non vuole nascondere il tesoro che ha
ricevuto, ma lo mette subito a disposizione dell’altro. Possiamo affermare che,
fin dai primi istanti Maria diventa evangelizzatrice. Lei vuole gridare a tutti
ciò che è avvenuto. È il suo mettersi in relazione con gli altri. La casa degli
altri è simbolo di partecipazione degli affetti. Entrare nella casa degli altri
indica, appunto vivere intimamente la vita spirituale dell’altro. In questo
caso la casa dell’altra, Elisabetta, è anch’essa piena di quella grazia divina,
che riconosce nel tesoro di Maria il compimento di ciò che si è sempre creduto,
sperato, amato: il Messia. Questo incontro inizia con il saluto. Come l’angelo
salutò Lei nella sua casa, così Lei saluta Elisabetta nella sua casa. Il saluto
fa partecipare della gioia dell’ospitato l’ospite. I due si rallegrano, si
allietano, i cuori si aprono a nuove emozioni, che si iniziano a vivere insieme.
Il saluto apre la conversazione divina fra le due mamme, che sono state elette
al loro ruolo di compartecipatrici della storia della salvezza.
A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?: sembra che questa
domanda sia superflua. La visita di Maria sembra inattesa, ma quando gli occhi delle
sue si incrociano si capiscono subito. Le due portano in grembo la
manifestazione dell’amore divino. L’amore conosce l’amore. Si Elisabetta ha già
capito. la madre del mio Signore, dice. Ad Elisabetta subito gli si apre la
conoscenza. Dio viene nella nostra casa segreta, dove siamo davvero noi stessi,
senza menzogna. Egli apre con noi un dialogo, che inizia proprio nel nostro intimo
per spalancare le porte della relazione, della partecipazione, anche della
compassione. Ecco allora il primo modo di essere Serva di Maria. Ella è serva
della Parola che si fa prossima. Realizza in Lei ciò che noi chiamiamo
apostolicità, cioè l’essere mandati ad proclamare a tutti il regno di Dio.
Certo sarà pure servizio ad una persona più anziana che ha bisogno di sostegno,
ma ciò che porta Maria è l’amore e questo rinfranca e il cuore di Elisabetta.
Maria
allora si pone come donna dell’attenzione, donna che porta la parola, donna che
umilmente fa di tutto per poter realizzare ciò che in Lei pienamente è in atto:
l’amore supremo.
«1Il terzo giorno vi una festa di nozze a
Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi
discepoli. 3Venuto a
mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno vino"» (Gv 2,1-2)
Questa’altro
episodio ci mostra Maria ancora al servizio. Le nozze di Cana. Giovanni ci dice
che in una festa di nozze, a Cana, c’era già la madre di Gesù. Gesù sembra
subentrare subito dopo. Nel bel mezzo del banchetto succede qualcosa e Maria
dice al Figlio: "Non hanno vino". Facciamo attenzione alle parole di Maria. Non
dice non c’è più vino, ma non hanno vino. Queste poche parole mostrano
un’attenzione diversa dai soliti ospiti che non si occupano di ciò che manca in
genere, ma di ciò che manca a loro. Lei invece si pone con occhi diversi. Gli
occhi della madre di casa, della padrona di casa. Del servizio a questi sposi.
Si preoccupa perché il banchetto non vada a buon fine. Che cosa è un banchetto
di nozze se non la festa della vita. Maria non è una ospite ma una di casa. Lei
vive di questa festa, è nella festa, partecipa della gioia di quei giovani. È
la donna dell’attenzione, cioè quella virtù di cogliere i segni attorno a se,
senza cadere, così, nell’ovvietà, nell’abitudine. Egli è interessata e questo
interesse è atto d’amore, che fa comunione. Mancando il vino mancherebbe la
festa, la gioia, l’amicizia, mancherebbe l’amore (in Israele il vino è simbolo
di amore). Sembra una richiesta non necessaria, ma a quella festa per essere
completa manca solo il vino. Come a noi che a volte manca quel qualcosa, poco,
pochissimo, per essere felici, non solo da ricevere, ma anche da dare. Lei è
pronta a farsi carico della richiesta a Dio. Il servizio è qui connotato come
compassione verso l’amico al quale gli si da tutto, persino pregare per lui. Il
servizio pretende che la preghiera, cioè l’accorato canto che sale a Dio sia
per gli altri. L’abbiamo vista a casa sua, poi a casa della cugina adesso a
casa di questi giovani. Il suo servizio è universale, non per pochi, ma tutti
coloro si pongono in continuità con il Verbo. Sappiamo bene il legame tra Maria
ed Elisabetta, Giovanni e Gesù, e da questo brano sappiamo che Gesù è
conosciuto da questi sposi, è loro amico. Non solo, ma le case di Elisabetta e
degli sposi sono i luoghi in cui gli affetti si realizzano appieno. Ricordate:
Da Elisabetta l’amore incontra l’amore, qui, a Cana l’amore è al suo compimento
sponsale. L’amore qui diventa unità di due in una carne sola. L’amore diviene
l’unico veicolo per cui Maria agisce a servizio. Non è un amore normale, ma lo
stesso Amore di Dio che pretende di essere messo al primo posto. Non possono
esserci due amori nella vita di colui e colei che si mette al servizio di Dio. Un
solo amore, un solo Dio origine di questo amore.
«5Tu amerai il Signore, tuo Dio, con
tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. 6Questi
precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. 7Li ripeterai ai tuoi
figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via,
quando ti coricherai e quando ti alzerai» (Dt 6, 5-7)
Ecco perché Maria si mette a servizio e il suo
essere a servizio si traduce con amore infinito. Questo amore è totale, cioè universalità.
Amare tutti. Con il teologo Bonhoeffer possiamo affermare che ogni grande amore
è polifonia esistenziale. Questa
polifonia, cioè un’armonia di un unico suono fatto da tante voci correlate le
une con le altre, diventa significato di vita. Ciò vuol dire che l’amore deve
aprirsi all’altro così tanto da diventare con gli altri un unico suono e questo
è l’Amore di Dio, l’amore che non vuole sconti, ma anzi che chiede di essere
motivo di esistenza. Quale forza, allora Maria, ha avuto in se per ritrovarla
nuovamente sotto la croce nel dolore più profondo, ma con il cuore traboccante
d’amore quando il suo Figlio dal legno gli dice, “donna ecco tuo figlio”. Anche
li, il cuore di mamma straziato per la sofferenza irreale del proprio figlio
non si tira indietro, ma abbraccia la vita, una nuova vita, quella del
discepolo che Gesù aveva amato.
Allora
Maria, alle nozze di Cana, è presente perché lei stessa è il luogo germinale di
una nuova umanità, la “stanza nuziale” dove si abbracciano, dove si amano
l’uomo e il suo Dio; ancora una volta in un’atmosfera di gioia, come con
l’angelo, come con Elisabetta. Gioia: radice mariana della fede. È la madre
della gioia, della festa, e non solo del dolore. Lei è al servizio della gioia,
la gioia del cristiano che non può avere il pianto nel cuore, perché il suo
Dio, attraverso il suo unico Figlio si è reso presente, e si fa ancora presente
nello Spirito santo. La resurrezione di Cristo ci rende necessariamente
gioiosi, perché la morte è stata sconfitta e adesso abbiamo la possibilità di
vedere quest’amore, lo stesso amore di Maria, faccia a faccia.
Maria
è la serva perché dice Si al suo Signore, perché si affretta a condividere
questo amore, perché questo amore sia attento all’altro, che diventa motivo di
esistenza, perché la necessità di amare Dio con tutta se stessa la fa essere
piena di gioia, di serenità, di pace, pronta alla consolazione, all’abbraccio,
alla compassione, alla rinuncia di se per altro. Perché tutto questo è l’Amore.
Piccola Bibliografia
S. DE FIORES – V. FERRARI SCHIEFER – S. M. PERRELLA, Dizionario
di Mariologia, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2009.
T. RICCI, Diario di Maria, il volto
interiore della Madre di Dio, Città Nuova Editrice, Roma 2006.
E.
RONCHI, Le case di Maria. Polifonia dell’esistenza degli affetti, Ed. Paoline,
Milano 2006.
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