Di seguito riporto un articolo del Prof. don G. Bellia, pubblicato nella rivista Il diaconato in Italia, del Gennaio/Febbraio 2006. Spero che sia utile per una riflessione sul ministero diaconale quotidiano e della ulteriore meditazione sul diaconato nel nostro ministero diocesano.
G. Bellia, Risignificare il servizio del diacono, in Il diaconato in Italia (136 Gennaio/Febbraio 2006)
Continuando con l’impostazione
tematica avviata lo scorso anno, in questo primo numero del 2006 presentiamo ai
nostri lettori un percorso di riflessioni e di informazioni sul servizio della
Parola dei diaconi, con i contributi di pastori e di studiosi di varie aree e
discipline. Il lavoro paziente e
puntuale del biblista P. Iovino sulle ricorrenze dei termini relativi alla diaconia
nel lessico neotestamentario, è il punto di partenza per interrogare le sacre
scritture riguardo al servizio specifico dei diaconi. L’area della diakonía in
definitiva trae il suo significato contenutistico «dalla persona di Gesù e dal
suo insegnamento, cioè l’amore concreto per il prossimo e i fratelli che ha radice nell’amore di Dio e tende alla
realizzazione della koinônía». Diakonía e koinônía sono concetti ripresi
nella prima lettera enciclica di papa Benedetto XVI di cui pubblichiamo un
breve passaggio sul senso della diaconia, presentata come «il servizio dell’amore
del prossimo esercitato comunitariamente e in modo ordinato». La diaconia,
l’esercizio dell’amore da parte della Chiesa, come la definisce il papa, è
compito ecclesiale primario perché manifesta nella storia l’amore trinitario,
realizzando la Chiesa come «comunità d’amore».
L’attenzione e la cura alla
Parola è ancora presente in vari interventi di Joseph Ratzinger, durante gli anni
del suo ministero passato e presente. In
un’omelia rivolta ai diaconi, e qui riportata, si legge: «il ministero della
Parola non è solo la funzione di predicare, funzione della catechesi, del
dialogo religioso, ecc., ma è una realtà esistenziale ed essenziale nella vita
del diacono. Possiamo essere voce della Parola soltanto se la nostra vita è
permeata della Parola». L’analisi di R. Pistone del vangelo di Luca arricchisce
la nostra riflessione sulla diaconia della Parola. L’esegeta pone in modo
preliminare ma chiaro la questione del rapporto tra esegesi e testimonianza di fede
e individua nel vangelo di Luca la strada percorribile nelle due direzioni: «Il
valore dell’inizio sta nella possibilità di diventare, da testimoni oculari,
servitori della Parola e da ascoltatori della Parola, ancora testimoni oculari,
capaci a loro volta di farsi servitori della Parola, comunicata sotto forma di esperienza testimoniata». Ancora attraverso l’opera
lucana A. Barbi traccia un quadro deciso del rapporto tra diaconia della parola
e comunità credente: «La chiesa è fi glia della Parola, tanto che in alcuni
testi degli Atti i due termini sono quasi intercambiabili: quando, ad esempio,
si deve annunciare la crescita della chiesa, si dice che la Parola di Dio
cresceva e si moltiplicava (At 6,7)». La riflessione parenetico-pastorale del
vescovo Monari, vicepresidente della CEI, ci conduce passo dopo passo a
riscoprire i modi con cui la Parola ha operato nella storia della salvezza fi no
all’oggi trasformato dalla liturgia eucaristica: «Il “fatto” e la “parola” sono strettamente congiunti a
realizzare l’avvenimento salvifico. Questa medesima struttura si attua nella
liturgia con la parola e il gesto sacramentale... Allo stesso modo ci
vuole un accosta-mento quotidiano e regolare alla Parola di Dio perché anche
quell’accostamento che si compie nell’eucaristia domenicale sviluppi il massimo
di energia».
Servire la Parola non è un fatto di improvvisazione
Servire la Parola nella diaconia ordinata come nel
ministero presbiterale non è mai
frutto di facili
improvvisazioni, ci ricorda
il teologo M. Naro: «La
relazione alla Parola è dunque
intesa in termini non semplicemente funzionale (come
servizio alla Parola nel ministero omiletico, o magisteriale, o profetico, o
concretamente pastorale, ecc.); la relazione alla Parola è intesa piuttosto nel
senso forte, “ontologico”, della conformazione a Cristo». Un esempio di
lettura trasformante, secondo
l’opera della fede, ci è dato da L. Bassetti nella sua riflessione: «All’inizio i discepoli
testimoniano l’uno con l’altro la gioia della parola accolta è della
luce intravista. Alla fine ugualmente, ma con una diversa consapevolezza, essi
rendono una testimonianza concorde al Risorto: sono una comunità di fratelli che
riceve e consegna l’annuncio pasquale». E la partecipazione all’atto salvifico
della Pasqua di Cristo si compie ed è resa nella storia attraverso l’azione
liturgica, come esplicita P. Sorci: «Il significato totale e reale non è solo
quello contenuto nella lettera della Bibbia e neppure quello contenuto nel
lezionario, ma quello che risulta dal mistero pasquale che soggiace ad ogni
pagina della Scrittura e a tutte le celebrazioni liturgiche e dalle variabili
che costruiscono la celebrazione».
Rinnovare il linguaggio del servizio
Una riflessione biblica di taglio pastorale sulle possibilità ecclesiali
di un servizio della parola in concreto
esercitabile, più che esercitato, dai diaconi, è il tema da me affrontato in vari convegni
e incontri e qui ripreso per segnalare
che la diaconia della parola ha una sua ricca gamma di progettazione e una sua
libertà di esecuzione, ancora da esplorare. Si deve però rinnovare, o meglio
risignificare, il linguaggio, perché termini come ministero, servizio e carità
appaiono logori e inespressivi. A questo intento risponde la proposta di
appaiare al termine diaconia il concetto di mediazione che meglio di altre
espressioni indica la natura specifica dell’attività ministeriale. Applicato al
linguaggio biblico permette di cogliere possibilità inespresse davvero
interessanti. La diaconia della Parola indica la ricca e complessa opera di
mediazione che ruota attorno al ministerium verbi. Mi è sembrato utile
rammentarlo ai diaconi, perché prendano coscienza delle potenzialità ampie e in
parte da scoprire che offre un ministero che non può essere ristretto al solo
compito omiletico da disputare ai presbiteri. Più che un appunto è un augurio,
ed esprime una speranza di vero rinnovamento per il ministero dei nostri
diaconi
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